Martedì della V settimana di Quaresima
San Giuseppe
Mt 1,16.18-21.24a
“si destò dal sonno”
Oggi ricorre la solennità di San Giuseppe nonché festa del papà. Il testo della liturgia è il racconto dell’annunciazione secondo Matteo del concepimento di Gesù, brano che si sofferma soprattutto su come l’ha vissuta Giuseppe. Penso che l’espressione “si destò dal sonno” non indichi solamente il momento del risveglio di una mattina precisa, ma l’uscita da un tempo drammatico attraversato da quest’uomo! Quali angosce, rabbie, delusioni abbia vissuto possiamo solo immaginarle, da una situazione ricca di promessa, animata da sentimenti di gioia, a precipitare nel baratro dell’avvilimento dello sconforto. La vita a volte assomiglia a un incubo da cui vorresti svegliarti. Quello che dava senso si spegne e da una prospettiva luminosa si passa al vuoto delle motivazioni per vivere. Non bastano frasi scontate e di circostanza per rialzarsi, ma occorre un aiuto, un’intuizione di luce, una spiegazione che da soli non possiamo darci. Una parola che ci riveli un nuovo cammino credibile. A volte arriva parlando con qualcuno, pregando, leggendo, ascoltando… E poi chiede di riprovare a crederci. A Giuseppe, uomo giusto, è bastato un sogno, un immagine che pur notturna aveva il sentore della verità, che riusciva a ricomporre un puzzle scomposto, tessere che potevano essere riunite a formare una nuova prospettiva, una nuova progettualità di vita. Il Signore non lo ha lasciato solo nel suo dramma, non lo ha abbandonato ai suoi pensieri, ma ha chiamato anche lui oltre che Maria. La cura del Padre sarà la cura paterna di Giuseppe per Gesù. Buona festa del papà!

Lunedì della V settimana di Quaresima
Gv 8,1-11
“Chi di voi è senza peccato”
Oggi ci viene riproposto il brano della donna sorpresa in adulterio e portata di fronte al Signore. È il testo della famosa affermazione: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». Gesù viene coinvolto in una situazione emotivamente drammatica, vi sono l’animosità della folla che espone pubblicamente il tradimento, l’intenzione di alcuni di trovare pretesti per accusare il Signore di eresia, la vergogna di una donna e la ferita di un uomo tradito… Gesù si prende un po’ di tempo, rimane in silenzio e scrive col dito per terra. E aggiunge alla legge di Mosè una premessa che sbalordisce, ma permette di vivere: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Un rimando alla propria coscienza, alla propria storia! Se la giustizia civile deve fare il suo corso non vada persa l’occasione di riflettere su di sé. Una frase che sembra emergere da una gestazione, una custodia e una rielaborazione della realtà, degli eventi e dell’esperienza… Il peccato esiste e va riconosciuto se vogliamo la gioia e il bene. La misericordia ci permette di rimediare, cambiare e vivere. La donna perdonata non ha concluso l’episodio, ma dovrà affrontare il dolore che ha causato, parlare e ascoltare, la sua strada è ancora lunga, ma questa è la responsabilità di ciascuno di fronte ai propri atti, alle proprie scelte. Tirare pietre o portarle come autopunizione non è nella logica di Dio.

V domenica di Quaresima
Gv 12,20-33
“il chicco di grano”
La vista di Gesù è davvero speciale, individua particolari semplici che parlano del mistero grande della vita! Chiedono di vederlo, d’incontrarlo e Lui annuncia quello che non si vede, ma che ha nel cuore: donarsi per essere fecondi, dare vita come un chicco di grano che buttato nel terreno produce una spiga. L’acutezza dello sguardo è espressione dello spirito, saper cogliere la bellezza, il significato e il valore di realtà che accadono o abitano nel feriale, nel quotidiano, dice la profondità di un cammino spirituale. Gesù sapeva cogliere la grandezza che vi era nell’atto di una vedova che deponeva pochi spiccioli nelle offerte, l’amore nei gesti di una donna malvista che ungeva i suoi piedi, il pentimento di un condannato che ammetteva con poche parole di essersi meritato la pena…. E che consolazione dona riuscire a cogliere bellezza e bontà attorno a noi! Ci scambiamo spesso lamenti per l’aridità di questo mondo, per le cattiverie e l’indifferenza, ma a volte manca lo sguardo per cogliere il bene. Rimane da imparare la lezione del chicco di grano… Che si immerge in un terreno affidandosi a quell’ambiente per poter esprimere le sue potenzialità, per diventare quello che può essere. Ma qui entrano in gioco coraggio e paura, speranza e rassegnazione, fiducia e rinuncia, avventura e sicurezza. Che la fede nel Signore ci aiuti a compiere quei passi personali che possono aprirci alla vita, al rischio per una passione evitando la lenta morte per asfissia in una campana di vetro.

Sabato della IV settimana di Quaresima
Gv 7,40-53
“Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!”
I capi dei sacerdoti e i farisei si inaspriscono quando sentono commenti favorevoli sul Signore, le guardie stesse ammettono di non aver mai sentito qualcuno parlare come Lui. I giudei hanno una reazione indispettita e pronunciano un giudizio terribile sulle persone del popolo che ascoltano Gesù, le additano come maledette perché non conoscono la Legge! La frustrazione di non essere più il riferimento del popolo fa sì che emerga quello che pensano veramente della gente comune, li disprezzano perché per non sono esperti della Legge come loro. Gesù aveva ragione a dire che l’amore di Dio non era in loro… È vero, si può addirittura essere volontari di opere caritative, ma non avere l’amore di Dio in noi. Aver paludato il cuore di gesti, parole e sorrisi per risultare agli altri e soprattutto a noi stessi delle brave persone, ma non agire animati dal voler bene, dall’ascoltare sinceramente… Lasciamo che la vita di fede tocchi il nostro cuore, i nostri pensieri e ci cambi in profondità, che non sia solo un soprammobile ben esposto, ma che occupa un posto marginale nel nostro cuore.

Venerdì della IV settimana di Quaresima
Gv 7,1-2.10.25-30
“mettere le mani su di lui”
Il livello delle ostilità si è alzato e la vita di Gesù è minacciata da coloro che il Signore ha criticato per la loro incoerenza e poca fede nel gestire le responsabilità religiose che detengono. Pur rischiando, non rinuncia a esporsi pubblicamente a Gerusalemme per predicare il Regno di Dio. I giudei cercano di ‘mettere le mani su di lui’…. Che espressione! Dice bene la volontà di controllare, gestire e quindi decidere che farne. Come se fosse un oggetto che con le mani puoi sistemare dove meglio credi… Ma pensare di poter fermare il Signore è come voler arginare il vento con le mani, la forza dello Spirito aggira ostacoli e spesso utilizza strade che pensiamo impossibili: metteranno in croce Gesù e la sua Parola diventerà Chiesa, pensi di avere messo una pietra sopra, di averlo chiuso in un sepolcro e poi lo trovi vuoto. Ma mettere le mani è anche pensare di sapere tutto di qualcuno, di averlo incasellato nello schedario e confinato in un cassetto. Dicevano “sappiamo di dov’è”… Ma mettere le mani sul mistero dell’uomo è come allungarle sulla fiamma di un falò per limitarle. Ognuno di noi è più grande di quello che si vede, di quello che si sa e anche del nostro passato. Non siamo definiti dal nostro percorso culturale o famigliare anche se ne siamo impastati, ma lo Spirito è capace di suscitare forme impensate con i vari ingredienti che ci compongono. Che la Quaresima ci aiuti a vivere i nostri passi rischiosi di luce, di parole e gesti che lo Spirito ci suggerisce.

Giovedì della IV settimana di Quaresima
Gv 5,31-47
“voi che ricevete gloria gli uni dagli altri”
Gesù continua a parlare ai giudei alzando il tono delle critiche, rimproverandoli di non credere né alla sua opera né ai testimoni quali Giovanni Battista e la scrittura stessa. Secondo il Signore la loro difficoltà è che non hanno l’amore di Dio e sono ripiegati su stessi. Amano se stessi in modo narcisistico, addirittura si scambiano apprezzamenti, si gloriano a vicenda. Ma se è il riconoscimento sociale che cerchiamo saremo meno liberi di essere autentici, meno liberi nel valutare la grandezza di altri uomini, di apprezzarne le opere, di stupirci dell’amore di Dio. Gesù non cerca di piacere a tutti, di conquistare consensi, ma di aiutare chi ascolta a sentirsi figlio amato smisuratamente, perdonato immeritatamente, di infondere l’amore fraterno tra gli uomini, di generare una comunità di persone libere. Ascoltiamo con umiltà e attenzione la Parola di Dio e accostiamoci ai segni santi che veicolano il perdono e la vita stessa di Dio affinché siano curati i nostri vuoti narcisistici e saremo meno dipendenti dal consenso e dalla stima degli altri.

Mercoledì della IV settimana di Quaresima
Gv 5,17-30
“ma chiamava Dio suo Padre”
Nei versetti che ascoltiamo oggi Gesù parla di sé, del suo modo di agire, del suo rapporto col Padre. Attesta che opera in una profonda comunione con Lui, che pur avendo ricevuto piena fiducia e libertà il suo stile parla del Padre perché è da Lui che ha appreso la vita.
È bellissimo quando qualcuno ci parla di sé, della sua famiglia, delle sue radici. Così come è segno di grande fiducia il potersi confidare apertamente. Nel dialogo di oggi Gesù si espone molto perché si racconta a persone che mostrano diffidenza, incredulità, ma non ha nulla da difendere, nulla da nascondere. Condivide che rivela chi è Dio Padre non solo con le parole, con i discorsi o le parabole, ma con tutto se stesso. Non è un ambasciatore, un messaggero, ma è quello che è proprio per la relazione che vive. Chi vive un profondo legame con qualcuno, sia una relazione affettiva oppure di comunità, pur esprimendo la propria originalità tiene però conto del volere, dei desideri, delle riflessioni che condivide, si ritrova a pensare come un “noi” più che “io” e ne è intimamente contento perché siamo strutturalmente relazione e non isole sconnesse. Un figlio parla del padre, della madre con la sua stessa vita, il Figlio annuncia il Padre con la sua esistenza coraggiosa, libera, attenta, fedele e ricca di umanità… Sentirsi amati è essere continuamente rigenerati da una sorgente di acqua fresca e pura che ci sostiene nel cammino.

Martedì della IV settimana di Quaresima
Gv 5,1-16
“non ho nessuno”
Nel racconto del vangelo di oggi colpisce il rimprovero che alcuni rivolgono all’uomo guarito perché trasporta la barella sulla quale viveva quand’era malato. Sono prontissimi a notare l’infrazione della legge del Sabato, ma erano distratti quando quest’ uomo non riusciva a immergersi nelle acque della piscina. Com’è possibile essere così insensibili alla grandezza di una guarigione, a un cambiamento atteso da tantissimo tempo e finalmente arrivato, alla possibilità di riprendere una vita autonoma e dignitosa? Penso che questo accada quando siamo distanti dalla vita di alcune persone e non abbiamo mai provato a metterci nei loro panni. Finché quest’ uomo era al bordo della piscina insieme agli altri disperati era un uomo solo, non aveva nessuno che lo aiutasse, nessuno che fosse interessato alla sua situazione… E ora a nessuno interessa che stia meglio, ma solo l’osservanza del Sabato. Se non stai accanto a un bambino che soffre per qualche disturbo o carenze affettive non comprenderai le sue reazioni rabbiose e aggressive, ma sarai pronto a giudicarlo e a castigarlo. Se non parli con chi vive per strada non potrai immaginare il rammarico per gli errori commessi e gli affetti perduti, ma sarai pronto a etichettarlo come ubriacone e perditempo. Se non ascolti i desideri di amare e di essere amati delle persone con orientamenti affettivi diversi potresti ritrovarti a giudicarle come trasgressive. Se non accetti le tue debolezze potresti pensare di essere sbagliato o che Dio ti ha castigato. Lasciamo che la Parola di Dio possa aprire quelle gabbie che ci imprigionano in giudizi riduttivi sui fratelli e su di noi.

Lunedì della IV settimana di Quaresima
Gv 4,43-54
“Quell’uomo credette alla parola”
Il vangelo di oggi ci racconta il secondo segno che Gesù fece a Cana di Galilea: la guarigione del figlio di un funzionario del Re. Un miracolo a distanza, una grazia creduta sulla parola pronunciata e ascoltata: il padre crede a quello che dice Gesù e ritorna alla sua casa dove ritrova il figlio guarito. Nel breve dialogo il Signore ha uno sfogo, afferma che se le persone non vedono segni e prodigi non credono, risposta che però si scontra con la disperazione di un padre per la salute del figlio… Succede che le preoccupazioni pastorali non tengano conto della situazione vitale delle persone, che corrette considerazioni e valutazioni su come le persone sono abituate a vivere la dimensione ecclesiale o pubblica della fede siano inopportune di fronte a momenti di alta intensità e drammaticità. Gesù lo avverte e sospende le sue esternazioni per acconsentire alla richiesta di quel padre disperato. Non è l’unico episodio dove qualcuno riesce a forzare l’intervento del Signore, anche una donna cananea otterrà la guarigione della figlia dopo aver discusso con Gesù. Il Figlio di Dio sa cedere di fronte all’urlo di una richiesta che forza la linea pastorale, i criteri della missione. La realtà è più importante delle idee. Non resistiamo rigidamente a quello che autenticamente si scontra con una scelta, una linea adottata. È Quaresima anche saper cedere a un inaspettato che chiede di essere accolto.

IV domenica di Quaresima
Gv 3,14-21
“abbia la vita eterna”
Sembra esserci una distanza che spesso diventa netta, incolmata, tra la volontà di Dio di donare la vita all’uomo e l’accoglienza di quest’ultimo nei riguardi dell’offerta del Signore. Una sorta di incomprensione o forse di indifferenza. Non è semplice il nostro rapporto con chi ci ha generato, né nella famiglia umana né con il Padre celeste. Abbiamo spesso spinte a ribellarci, a rinnegare, a intraprendere strade diverse da quelle attese, a volte per motivi di testardaggine, di affermazione di noi stessi per contrapposizione al passato. Il desiderio di emancipazione, di realizzazione è fondamentale e prezioso, ma domanda un ascolto paziente per essere rielaborato e portare a scelte consapevoli e autentiche.
Gesù è il grande sacramento del Padre, il segno dell’amore incondizionato di Dio per l’uomo, per la sua creatura privilegiata, per ciascuno di noi! Il Signore in Croce mostra che siamo voluti bene fino a morirne! Fino a rinunciare ad ogni riconoscimento di umana gloria… Come pure manifesta che amando si conserva la vita! La sua bellezza! Gesù scegliendo la fedeltà all’uomo, non ha deturpato la sua dignità, la sua integrità. Ha pagato dei prezzi altissimi, ma ha compiuto la sua vita, l’ha portata a pienezza. Dio ha più stima di noi di quanto ne abbiamo noi stessi!
Ma occorre il passo personale di cercare la verità, la sua luce … Questo spetta a noi, solo a noi. Se rifiutiamo a priori che si possa imparare, cambiare, migliorare allora ci poniamo fuori da un cammino di salvezza. Se ostinatamente riteniamo di non averne bisogno, di esser fatti così, se non ammettiamo gli errori o che dipenda tutto dal caso o dalla fortuna allora sarà difficile che la Croce ci parli…